domenica 20 dicembre 2015

SCOMODE VERITA' SULLE BANCHE

Le banche sono state al centro dell'attenzione mediatica in queste ultime settimane, ma a me pare che tale attenzione sia servita non a generare chiarezza sul tema complessivo e centrale che riguarda le banche nei loro molteplici aspetti.
Per esemplificare questo clima di confusione su un tema così delicato, citerò due posizioni che ho visto espresse sui media.

La prima, alla radio, sosteneva che l'aver fatto fallire la Lehman & brothers fosse stato un errore palese, e che aveva dimostrato come non si potesse far fallire nessuna banca.

La seconda, su un blog di grande successo, sosteneva che la crisi bancaria fosse dovuta alla recessione indotta dalla partecipazione all'euro.

Bene, io considero queste due tesi tragicamente errate, e credo che se noi apprendiamo da ciò che è accaduto cose del tutto erronee, non riusciremo più a risalire la china...

Cominciamo dunque dalla prima tesi, quella che pretenderebbe che la crisi in cui il mondo occidentale è piombato da sette anni a questa parte sia dovuta ad una decisione sbagliata dell'amministrazione Bush che ha deciso di far fallire una delle più importanti banche senza predisporre alcun piano di salvataggio.

In un certo senso, potrei anche convenire sul dissenso su quella decisione, ma nel senso del tutto differente che a mio parere tutte le banche che in seguito ai loro comportamenti speculativi sono state portate dai loro amministratori in uno stato di fallimento, sarebbero dovute fallire, tutte e non soltanto la Lehman.
Dal punto di vista di principio, non v'è dubbio alcuno che banche rigorosamente private, come ogni altra impresa, dovrebbero prevedere il fallimento come suo possibile esito. In assenza del rischio di perdere tutto, e del connesso rischio a carico degli amministratori di interrompere traumaticamente il loro ruolo e quindi il loro lauto stipendio, e della possibilità di essere chiamati in causa da chi subisce un danno patrimoniale per loro eventuali comportamenti dolosi, non ci si può aspettare che esse adottino comportamenti virtuosi.
Nei fatti, la decisione stessa di prevedere ed anzi pretendere che le banche siano private ha come conseguenza strettamente ad essa correlata che il fallimento della banca sia un evento tra quelli possibili, cosa che potrebbe essere esclusa nel caso in cui la banca fosse di proprietà di uno stato dotato di sovranità monetaria.

Insomma, è paradossale che la banca costituisca una possibilità di arricchimento per privati, siano essi azionisti o amministratori, certi che qualsiasi perdita sarebbe ripianata a piè di lista dalla collettività mediante intervento di salvataggio da parte dello stato che verserebbe quanto necessario per evitare il fallimento.
D'altra parte, contemporaneamente ed in base alla stessa logica, gli stati vengono privatizzati, cioè costretti a disfarsi della propria sovranità e dover sottostare agli stessi vincoli che hanno i privati cittadini. La conseguenza che si vuole determinare è quella di impedire agli stati di compiere salvataggi stampando moneta, costringendoli così a dovere caricare direttamente sul bilancio statale le spese richieste per i salvataggi e quindi riducendo i servizi erogati o aumentando la tassazione, misure insomma a carico del cittadino nelle sue differenti forme di utente e di contribuente.  

Si viene così a configurare una situazione che solo un decennio fa sarebbe stata inimmaginabile, che le banche assumono un ruolo più importante degli stati, perchè questi ultimi secondo le dottrine neoliberiste oggi dominanti come i privati possono fallire se non seguono regole analoghe a un semplice privato, mentre le banche non potrebbero fallire secondo questa logica perversa, sarebbero quindi l'unica istituzione eternalizzata. 

Abbiamo finora tralasciato di considerare quali siano i motivi addotti da coloro come l'economista intervistato a radio RAI, che sostengono la tesi della necessità di garantire l'impossibilità delle banche di fallire. 
Tale pretesa si basa sulla necessità di difendere i patrimoni depositati presso le banche. 
Ora, che tutti ci auguriamo che chi ha depositato il suo denaro presso un istituto bancario possa mantenerne la disponibilità possibilmente per sempre, non v'è alcun dubbio. 

Ciò tuttavia non implica che a questo fine debba essere intrapresa qualsiasi tipo di azione. Ciò implicherebbe non soltanto l'augurabilità della difesa dei patrimoni, ma molto di più, che cioè la loro difesa sia il valore prioritario che dovrebbe prevalere su qualsiasi altro. 
Su questo, io non potrei convenire. Anche restando nel campo economico, ci sono molti eventi che portano a singoli individui ed a gruppi di individui danni dalle conseguenze tragiche. Chi ha un'impresa, sa che può ogni giorno della sua vita fallire, e che questo implicherà la perdita dell'azienda, e quindi anche del suo reddito. A sorte non dissimile va incontro anche il lavoratore dipendente, ad esempio a causa dello stesso fallimento che rovina l'imprenditore. 
Diciamo che continuamente nella società in cui viviamo il reddito da cui dipendiamo per la nostra stessa sopravvivenza è messo a rischio di cessare lasciandoci in una situazione di povertà assoluta. Eppure, nessuno pensa che ad ogni azienda debba essere garantita la continuazione della sua attività per quanto possano essere tragicamente gravi le conseguenze personali delel persone implicate. 
Eppure, e la recente vicenda delle quattro banche salvate dal fallimento a spese di una certa fascia di risparmiatori lo dimostra incontrovertibilmente, la solidarietà alle vittime di questa vicenda è molto vasta, motlo più vasta ed intensa che nel caso del fallimento di aziende, anche se entrambe possono portare anche a gesti disperati come il suicidio. 

La ragione di tutto ciò sta in quella che io chiamo la logica del cassettino. Si è diffusa tra la gente la convinzione che il nostro denaro costituisca una dote perenne. Dal fatto innegabile che mettere da parte quel denaro c'è costato tanti sacrifici, ne deriva con un salto logico ingiustificato, la convinzione che quel denaro è parte di noi, e che quindi non ha senso che noi possiamo perderlo, come e più di come non pensiamo di perdere una parte del nostro corpo. 

La logica sottostante è quella di credere che quando noi depositiamo una certa cifra in banca, questa lo metta in un cassettino, a cui soltanto noi possiamo accedere, e che possiamo prelevare quando vogliamo. 
Non ci rendiamo quindi conto di come stiano davvero le cose. 
Quando possediamo una certa quantità di denaro, nel momento in cui non lo teniamo fisicamente con noi, sia che si tratti di infilarlo in un materasso poi abilmente ricucito, sia che si tratti di una vera e propria cassaforte, in tutti gli altri casi quindi, noi volenti o nolenti, consapevolmente o inconsapevolmente, stiamo facendo un investimento. Non è che la banca ci custodisca il nostro denaro, la banca lo utilizzerà per le sue attività che oggi non si limitano purtroppo al prestito ad altri privati, ma può anche investirlo in proprio. 
Dal punto di vista di principio, è come se noi dessimo questo denaro in affidamento ad un imprenditore di cui ci fidiamo sulla sua capacità di investirlo in modo vantaggioso. 
Può sembrare una cosa terribile, ma in verità ogni tanto sarebbe bene ricordare come nasce il denaro, da cui possiamo comprendere quale sia la natura e la sua funzione. 

Il denaro viene semplicemente stampato, cioè creato dal nulla da un soggetto che goda del privilegio di avere sovranità monetaria. 
E' evidente quindi che la moneta non possa essere considerata una merce, o, per un non marxista un valore (per Marx, come si sa, l'unico valore è costituito dal lavoro umano). 
Cos'è allora la moneta, qual è la sua vera natura? Io sostengo che la moneta è uno strumento di politica economica, serve cioè a regolare il livello dell'attività economica in base alla sua quantità in circolazione (badate, non la sua abbondanza in assoluto, ma sulla quantità effettivamente circolante). 
E' davvero stravagante la tesi che la moneta possa costituire un patrimonio, e la stravaganza di questa tesi non diminuisce solo per il fatto che le teorie neoliberiste tanto in voga lo affermino, siano così insistenti su questo punto, che le politiche economiche devono prioritariamente salvaguardare l'effettivo valore del denaro, cioè la sua capacità di essere scambiato con merce senza subire svalutazioni. 
Se questa è la situazione della moneta, è sin troppo ovvio cosa si debba pensare dei titoli ormai presenti sul mercato nelle forme più fantasiose ed improbabili e su come si tratti in definitiva di cartaccia, depositata sotto forma di numeri con una serie impressionante di zeri del circuito telematico bancario, come si dimostrerà nel momento in cui qualcuno dei ricchi possessori dovesse provare ad usarlo per l'uso a cui sarebbero destinati, cioè ad acquistare merce. 
Viviamo in una strana epoca, in cui i capitalisti, impossibilitati a proseguire il processo di accumulazione nelle forme canoniche, cioè attraverso il continuo riinvestimento dei profitti, hanno virato verso il predominio degli investimenti di natura finanziaria, senza apparentemente rendersi conto di cosa poi fare di questi conti in cui è depositata una ricchezza mobiliare che per la sua entità complessiva esageratamente alta, non ha il corrispettivo in merce per cui utilizzarla. 
Il fatto che a distanza di otto anni dal momento in cui si è verificata la presenza di titoli tossici, cioè inesigibili, questi non siano stai eliminati, ma siano più che mai presenti sul mercato, dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che la situazione è semplicemente senza alcuna via d'uscita (e conseguentemente la natura di apprendisti stregoni di questi ricconi che hanno nelel loro mani la sorte del mondo). 

Che prima o poi ci sarà un big bang bancario distruttivo in cui finirà per essere risucchiato anche il denaro, vista la pusillanimità dei governi occidentali, è un fatto, il dubbio riguarda soltanto quando ciò avverrà. C'è una sola reale alternativa, lo scoppio di una guerra mondiale, ma di questo sarebbe inutile discutere in ambito economico. 

Concludendo, la comprensibile preoccupazione della gente comune di non farsi soffiare i propri risparmi, finisce tuttavia col tramutarsi in complicità con le criminali tesi neoliberiste, ed è triste vedere come il vecchietto che teme di perdere i suoi diecimila euro, finisce col difendere i cento milioni di euro del capitalista che è corresponsabile della crisi in cui ci troviamo. 

Continuerò in un prossimo post, affrontando la seconda tesi che avevo enunciato all'inzio di questo post. 

5 commenti:

  1. Devo essere telegrafico.
    Le banche devono poter fallire come chiunque altro.
    Il denaro non ha valore, lo rappresenta.
    Il denaro che deposito in banca viene utilizzato per vari scopi, ma fuori dal mio controllo, per cui non posso esserne responsabile in alcun modo.
    Se deposito qualcosa (non solo denaro) presso qualcuno che fa di questo un'attività, ho il diritto di riavere quanto depositato, a prescindere da ciò che succede all'azienda.

    Concludo (ma il discorso sarebbe molto lungo).
    Come ha efficacemente detto qualcuno, siamo passati da un sistema in cui i privati fornivano i soldi e la banca centrale garantiva, ad uno in cui la banca centrale fornisce i soldi e i privati garantiscono.
    E' una follia. E finirà male.

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  2. Sarò altrettanto telegrafico solo sulle cose che non condivido.
    Non capisco cosa tu intenda dicendo che il denaro rapprensta un valore, ma non lo è. Se lo rappresenta, mi pare che ne consegua necessariamente che lo sia, o qualcosa mi sta sfuggendo. Mi sembrava più chiara la mia definizione, che cioè il denaro è soltanto uno strumento di politica economica.
    La responsabilità di chi affida il denaro a qualcuno, si manifesta e si perfeziona nel momento in cui avviene questa azione. Prestare denaro, fosse anche allo stato italiano, chiunque sia il soggetto a cui presto, è un atto alla cui responsabilità non ci possiamo sottrarre. Se io presto, in quest'atto, sto dando fiducia a qualcuno, e non posso poi dire che non ne ho responsabilità alcuna, sennò potrei prestare anche al primo farabutto imbroglione che si spacci per chissà chi.
    Trovo francamente stravagante affermare che in ogni caso io debba essere risarcito. Applica quesot principio al mondo degli affetti, all'aver amato una persona che non lo meritava: a chi mai dovremmo chiedere questo risarcimento?
    Il risarcimento quindi tu dici se ho ben capito, deve essere a carico dei contribuenti, e quindi anche del poveretto che ha un reddito ben inferiore al danneggiato, che è del tutto innocente, e che dovrebbe abbassare il livello di vita (potrebbe per qualcuno significare anche saltare un pasto a settimana), solo perchè qualcuno afferma apoditticamente che se presto, devo avere indietro. Il prestare si configura come una transazione finanziaria, non difforme da chi acquista un'azione, e la pretesa di risarcimento è analoga a chi chiedesse di essere risarcito se l'azione diminuisce di valore.

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    1. Mi stai attribuendo cose che non ho detto.
      Se compro BTP, "presto" soldi allo stato.
      Se verso i soldi in c/c, li "deposito" e ne mantengo la disponibilità. Poi so che quei soldi verranno utilizzati per altre operazioni, ma le due operazioni sono profondamente diverse. E la responsabilità è ben diversa.
      La restituzione (il "risarcimento" è un'altra cosa) deve avvenire a carico del soggetto che ha svolto il ruolo di depositario. Ho depositato i soldi in banca, la banca deve restituirmeli. Non è in grado di farlo? Vuol dire che è stata gestita male, quindi ne rispondono personalmente gli amministratori.
      Dopo di che subentra il FITD, che è costituito da risorse private. I contribuenti quindi non c'entrano niente.
      Gli affetti non sono un paragone valido, dal momento che parliamo di cose che si possono dare e restituire. E' più calzante un garage. Se lascio l'auto in un garage privato e quello fallisce, la mia auto non può essere venduta per ripianare le sue perdite.

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    2. Sì, ho capito, anche tu consideri la banca come un luogo pieno di cassettini dove depositare i soldi, tant'è che lo paragoni al caso del garage, ma è la cassetta di sicurezza che somiglia al garage, non il c/c bancario, che possiamo chiamare come vogliamo, ma è un evidente caso di prestito, e del resto l'operazione simmetrica da parte della banca verso chi ha bisogno di credito, si chiama prestito.
      Se non è illecita l'attività bancaria di prestare a qualcuno ciò che le è stato a sua volta prestato, è ovvio che la non restituzione è un evento del tutto possibile, seppure evidentemente spiacevole e se possibile da evitare.
      Mi pare anche tropèpo semplicistico sostenere che i soldi non vengono restituiti per un comportamento colposo degli amministratori, perchè in verità se l'economia langue e i debitori non restituiscono quanto ricevuto perchè l'investimento fatto non frutta in tale condizione di mercato, le responsabilità vanno accertate volta per volta.
      Immaginare che lo stesso sistema bancario predisponga da sè uno strumento di garanzia, è una cosa positiva, ma credo che avremo presto un livello quantitativo di insolvenze che neanche gli stati potranno più farci nulla.
      E' bene quindi che ognuno si renda conto del livello di rischio nel suo rapporto con le banche e finisca di considerarle una istituzione sicura perchè in tutta evidenza esse sono tutt'altro che sicure.

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    3. Io non ho parlato di "cassettini", tutt'altro.
      Ho parlato di ruoli e di responsabilità conseguenti. E non ho nascosto i rischi, rispetto ai quali, ancora una volta, esistono le responsabilità.
      Il FITD non basta per tutti? Lo so, ma questo non può essere la scusa per ribaltare il principio di responsabilità.
      La crisi mette tutte le banche in difficoltà? Lo so, ma anche per questo esistono responsabilità abbastanza precise.
      E a proposito di responsabilità, questa è una lettura interessante:
      http://vocidallestero.it/2015/12/16/il-documento-delleba-sul-collocamento-di-strumenti-finanziari-presso-gli-investitori-retail/

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