martedì 26 giugno 2012

LE DIFFICILI E FONDAMENTALI SCELTE DEL PROSSIMO VERTICE EUROPEO


Ci troviamo così a ridosso della riunione dei capi di stato europei forse più importante da quando esiste un'unione europea, forse perfino da quando esiste un qualsiasi organismo di coordinamento europeo comunque denominato.
L'Europa nasce dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, subito dopo la saggia decisione presa nel 1953 di annullare i debiti di guerra della Germania, evitando così la gravissima situazione che si era invece determinata dopo la prima guerra mondiale a cui verosimilmente la pretesa dei vincitori di pretendere esorbitanti rimborsi contribuì notevolmente ad isolare la Germania sviluppando al suo interno il delirio nazista...

Proprio la tragica vicenda della seconda guerra mondiale con la connessa Shoa diede alla classe politica europea postbellica un profilo di alta moralità e responsabilità che permise passo dopo passo di costruire strumenti di coordinamento e di solidarietà europea, e tutto ciò avvenne per lunghi decenni quasi di nascosto dalle rispettive opinioni pubbliche.
Quei politici, avendo una reale statura di statisti, capivano pienamente la differenza tra essere rappresentanti e non delegati del loro popolo, di come il mandato parlamentare, una volta concesso dal voto popolare, garantisce la più piena autonomia all'operato del singolo parlamentare.
Questa linea dirigista che ha permesso sin dall'inizio la stessa costruzione europea per motivazioni facilmente condivisibili, non ha poi mai più abbandonato questo progetto, come uno stampo che vincola la forma di un oggetto per sempre, anche quando tale oggetto viene estratto dallo stampo che lo ha modellato.
Fino agli anni ottanta, il processo europeo andò avanti senza particolari problemi, anzi aumentando gradualmente e con continuità l'integrazione tra le differenti nazioni. I problemi con cui ci confrontiamo oggi partono dal momento della caduta del muro di Berlino che scuote la classe politica europea ponendola di fronte alle nuove sfide di un mondo non più bipolare.
Per analizzare meglio cosa succede allora, bisogna ricordare il grande successo che la socialdemocrazia ebbe in europa per decenni. Seppure non esiste un periodo in cui si possa parlare di una supremazia indiscussa della socialdemocrazia sui partiti conservatori come processo complessivo europeo, tuttavia essa riuscì egualmente ad esercitare una sua egemonia a causa di un livello di unità tra i partiti dei singoli paesi che i partiti conservatori non raggiunsero mai. V'era a fondamento di questa unità una precisa politica che rispondeva all'esigenza di mantenere nel novero dei paesi capitalisti nazioni in cui pure la stessa crescita economica indotta soprattutto dallo sviluppo tecnologico in un mondo fin allora decisamente povero (se rapportato ai nostri giorni), e in cui quindi esisteva una grande domanda di merci, aveva dato alle classi lavoratrici una capacità di incidenza notevolissima. I capitalisti riuscivano così a realizzare grandi livelli di utili senza rischi di rivoluzioni proletarie in un difficile equilibrio di redistribuzione che manteneva viva la domanda ed evitando così rischi di sovrapproduzione prolungata.
Fu, come ho detto altrove, un periodo molto particolare che richiedeva anche certi elementi strutturali su cui non mi dilungherò, ma che già negli anni ottanta cominciarono a mancare generando così l'onda neoliberista i cui effetti stiamo vivendo pienamente oggi, a distanza di decenni, ma nata allora in particolare da parte di due politici, la Thatcher in UK, e Reagan negli USA. 
La reazione della socialdemocrazia a questa offensiva si può sintetizzare in una parola "resa", spacciata per ritirata strategica, arretrare su tutta la linea, ma sempre sostenendo che così si potesse meglio difendere il fronte progressista. Di arretramento strategico in arretramento strategico, la socialdemocrazia europea ha finito per risultare indistinguibile dai presunti avversari, fino al punto che nei pochi aspetti di distinzione dai conservatori, è proprio la socialdemocrazia a mostrarsi più liberista. Anche su tali aspetti, occorrerebbe soffermarsi molto di più, cosa qui impossibile, e così dovrò rinuciare a spiegare come per fare un esempio tipico, un partito con forti tradizioni operaiste come il partito laburista britannico, possa essere finito nelle grinfie di un liberista dichiarato come Blair. 
Ebbene, la socialdemocrazia degli anni novanta. ormai divenuta l'ombra di sè stessa, senza svolgere una riflessione a livello dell'importanza storica del momento, decise di far finta di niente, di continuare cioè nella linea dirigista di più Europa, e proprio a causa del difetto di dibattito in proposito, la cosa andò avanti in maniera incontrollata, come se il modo, le tappe, la natura degli organismi decisionali dell'Europa fossero un elemento secondario, come se il carro dovesse andare avanti, non importa se rimanendo sul selciato o finendo in un fiume o in fondo a un burrone. Così si sottoscrive in tempi incredibilmente veloci il trattato di Maastricht che così fortemente doveva influenzare il futuro fino ai nostri giorni. Altrettanto velocemente, si procede su sollecitazione USA che voleva costituire una fascia di sicurezza rispetto alla Russia ad un allargamento ai paesi una volta di oltrecortina come si diceva allora. 
Malgrado il goffo tentativo di arrivare ad una costituzione europea mediante accordi tra gli stati nazionali (ma ogni costituzione richiede l'elezione di una apposita assemblea costituente, senza la quale al massimo si potrebbe parlare di uno statuto), e fallito miseramente ogni volta che la gente fu chiamata a ratificarlo, ciononostante i nostri non desistono e impongono ai propri popoli ormai visibilmente riottosi, un'unificazione europea a misura del capitale, ivi inclusa la moneta unica. 
Ora siamo nel 2012 e sono trascorsi abbastanza anni perchè si possa, anzi si debba trarne le conseguenze. Il non farlo significherebbe soggiacere ad un dogmatismo del tutto ingiustificato ed ingiustificabile.
Io personalmente traggo le seguenti conclusioni. 
La prima mi pare che è la conferma di quanto gli stati nazionali siano forti ed attuali nella vecchia europa. Mi vado convincendo che quando dei popoli non condividono neanche la lingua, difficilmente si possono assimilare, la divisione linguistica è ben più che un problema tecnico, sottintende differenze culturali che non possono essere ignorate. 
In fondo, queste identità nazionali forti sono il motivo per cui ci troviamo nella situazione attuale. Se i tedeschi pensano alla germania e gli spagnoli alla Spagna, gli unici trattai possibili rimangono quelli in cui col misurino si riesce a non favorire nè danneggiare alcuno, una cosa di fatto impossibile. 
La seconda è che In questa situazione, l'unico modo per continuare sulla strada di una sempre maggiore integrazione è ignorare cosa ne pensano i diretti interessati, e ciò impone a sua volta una riduzione sempre più netta della democrazia, spostare quindi le sedi decisionali in organismi comunitari nominati e non eletti, fino a concentrare il maggior potere nella BCE come sembra si stia facendo adesso. Francamente vedere Barroso o Draghi che danno i punteggi ai governi nazionali fino a formulare minacce esplicite, è uno spettacolo che mi ripugna, e questo aspetto ripugnante finisce inevitabilmente a livello popolare per essere attribuito all'Europa stessa.
La terza è che non serve a nulla far finta di nulla, continuare a ripetere stancamente la giaculatoria degli stati uniti d'europa. C'è in questa ostinazione un gravissimo errore di prospettiva, si pensa di potere semplicemente proseguire la strada tracciata nel secolo precedente, ignorando così che una cosa è costruire in un momento di crescita, sulla base di un entusiasmo legato al crescente benessere, all'ottimismo dei miei genitori che venivano fuori dalla seconda guerra mondiale. Applicare la stessa formula dirigistica di andare avanti ad ogni costo, anche spingendo a forza il cavallo che non ne vuole sapere di tirare la carretta, dimostra un pressappochismo preoccupante dei politicanti che occupano oggi la scena politica continentale. 
Oggi, ed è grave che non si capisca, imporre ogni sorta di sacrifici a popoli stanchi e demotivati significa soltanto alimentare l'esatto opposto di ciò che si vorrebbe, invece di indurre in europa una maggiore unità, significa suscitare rancori tra nazioni differenti ed il passaggio dai rancori all'odio è facile, come non si può escludere che tutto questo sfoci in conflitti all'interno del continente, una prospettiva che mi rendo conto risulta incomprensibile oggi, ma la storia c'ha insegnato che svolte improvvise e tragiche possono avvenire anche soltanto per avere gestito maldestramente le fasi più critiche.
Per queste ragioni, assistere in silenzio alle idiozie del Casini di turno non è possibile ed anzi è un dovere denunciarle.
Mi ha particolarmente colpito l'atteggiamento di Bersani che, evidentemente in preda al terrore, per altro del tutto giustificato dalla situazione dell'economia e della finanza internazionale,  si limita ad esorcizzare il pericolo puntando acriticamente tutto sul mantenimento ad ogni costo dell'euro. C'è in Italia quest'ampia area politica che rifiuta ormai esplicitamente di argomentare le proprie posizioni, che pretende che la gente gli creda sulla parola, che si fidi senza rompere le scatole. Quando bersani dice che rischiamo di dovere camminare con carriole di soldi, propone una prospettiva purtroppo del tutto realistica, ma l'errore che fa è di non vedere che il mantenimento dell'euro non solo non costituisce da nessun punto di vista la soluzione, ma addirittura rischia di avvicinare questo momento.
 Oggi, l'unico vero modo di difendere ogni possibile progetto europeo che voglia anche essere democratico è rallentare l'integrazione, mantenere la struttura comunitaria ma rinunciando a metetre in  comune la moneta e la politica economica, perchè su questi aspetti così decisivi è evidente anche ai ciechi mentali che v'è un profondo dissenso che ad oggi sembra impossibile ricomporre. Mettendo assieme la prosecuzione di forti spiriti nazionali e gli interessi ed i punti di vista economici così divergenti, l'unica cosa responsabile che si può fare è prenderne atto e lasciarsi consensualmente, tentando di salvare il salvabile senza che l'abbandono dell'euro e del trattato di Maastricht si connotino enfaticamentre come passi indietro, sono scelte probabilmente transitorie che ci permettono di rispsettarci tra nazioni e di potere immaginare un futuro di maggiore intergrazione. Ostinarsi a procedere con un'integrazione forzata in un periodo così difficile è un atto di totale irresponsabilità che apre prospettive perfino tragiche.

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