martedì 1 maggio 2012

IL PRIMO MAGGIO E LA CENTRALITA' DEL LAVORO

Oggi, festa del lavoro, mi sottrarrò all'attualità politica, che pure preme con le sue novità, per andare ai temi fondamentali, ed, in omaggio al primo maggio, al tema del lavoro.
La crisi economica messa in moto dalla bolla speculativa scoppiata nel 2008 e messa da parte in attesa di scoppiare nuovamente in maniera ben più deflagrante, si traduce in una generale riduzione del potere d'acquisto delle famiglie.
Se però andiamo a guardare le cose in maggiore dettaglio, vediamo che sono due i modi attraverso cui tale riduzione a sua volta si manifesta. L'una è la mancata crescita dei redditi e gli effetti che tasse di ogni tipo crescenti e la normale evoluzione dei prezzi hanno su quegli stessi redditi, l'altra è la perdita del posto di lavoro per chi ce l'ha e il lavoro che manca per chi lo cerca per la prima volta.
Sono due aspetti della questione che pure influendo entrambi sulla capacità di spesa familiare, conviene tuttavia tenere ben distinti perchè evidentemente differenti l'uno dallì'altro.
Non dovremmo mai dimenticare che il primo articolo della nostra costituzione, venuta a redimerci dopo la doppia tragedia del fascismo e della guerra, pone una tutela specifica riguardo al lavoro.
Quell'articolo poteva essere scritto in molti altri modi differenti, ma i padri costituenti hanno scelto quella specifica forma. Qui insomma non c'è una generica tutela del diritto ad avere un livello di vita dignitoso, qui si dice esprressamente lavoro. Il lavoro quindi non è qui percepito solo come un mezzo di sostentamento, ma come qualcosa di più fondamentale, come il mezzo stesso di espressione della persona umana in un contesto civile. L'uomo nel lavoro ritrova assieme un metodo di manifestazione della sua capacità di incidere sul mondo in cui vive e naturalmente la possibilità di sopravvivenza sua e di coloro che a lui sono affidati, come i propri piccoli.
Si potrebbe dire che la costituzione tutelando in maniera così speciale il lavoro, ricorda la necessità di ritrovare la persona umana come fine stesso della politica, mettere al centro il lavoro per mettere al centro l'uomo.
Così, la tragedia dei nostri giorni si ritrova proprio in questa estrema difficoltà già nel mantenre il lavoro che si ha, ma soprattutto nella negazione di questo diritto per le generazioni più giovani, mentre già ci sono persone non lontane dai quaranta anni, che rischiano di essere saltati a piè pari, non avendo ancora trovato un lavoro, e rischiando di  essere presto troppo anziani per trovarne uno.
L'altro aspetto è invece la compressione generale del livello di consumo indotto dalla crisi attraverso un aumento della tassazione in presenza di redditi al massimo costanti.
Alcuni dicono che siamo vissuti al di sopra dei nostri mezzi e che sia inevitabile dover ridurre il nostro livello di consumi...

Questa stessa affermazione richiede tuttavia una maggiore specificazione. Chi la dice nella gran parte dei casi, la riferisce alla questione dell'indebitamento, abbiamo contratto un debito che ora tocca alle generazioni più giovani ripianare. Questa è naturalmente una stupidaggine. In primis, non v'è nulla di male nell'indebitarsi, visto che questo atto è un aspetto indispensabile dell'esistenza stessa di un'economia: se uno si indebita, ce n'è un altro che acquisisce un credito, non v'è credito senza un corrispondente debito, e queste due distinte situazioni stanno a fondamento dello scambio tramite denaro, visto che solo in un'economia di baratto esistono atti economici che non presuppongono che un soggetto reciti la parte del creditore ed un altro del debitore.
Inoltre, nel futuro non v'è nulla del presente che si possa ripagare se ritorniamo a considerare le cose dasl punto di vista della ricchezza reale, cioè sulla base delle merci disponibili.
Detto brutalmente, un melo ha una sua produzione di mele annua che non può dipendere da ciò che è successo l'anno precedente, che quindi i debiti sono sempre contratti con altri agenti economici. La crisi è certo dovuta alla creazione di una ricchezza fittizia, ma l'imbroglio che si vuole portare avanti è quello di attribuire a tutti il peso dei titoli fasulli che sono stati creati. Su questo, bisogna essere chiari, chi ha sul groppone titoli inesigibili, non può chiedere di socializzare le sue perdite.
Insomma, qui si dice che abbiamo contratto debiti che ora dobbiamo onorare, ma in realtà si chiede a chi non ha fatto nulla del genere di appiopparsi il costo della crisi di chi è responsabile della crisi stessa.
E' come se si scoprisse che c'è troppo denaro in giro perchè un falsario si è messo a stampare banconote, scambiandole con quelle buone del tipo dieci a una. Ora, coloro che hanno spacciato moneta falsa, non possono venire da me e chiedermi di risolvere il loro problema, e chi ha fatto affari sbagliati fidandosi in maniera errata del criminale di turno non può rivalersi su chi è stato più attento o che non  avendo percepito reddito alcuno non ha motivo di accollarsi i problemni di altri.
In sostanza, è solo l'economia fittizia dovuta all'inflazionamento di titoli da parte delle grandi istituzioni bancarie ad avere creato questo problema, ma se i titoli sono fittizi, anche il debito è fittizio. Non è quindi che noi dobbiamo ripianare un debito, dobbiamo piuttosto riconoscere la natura fittizia di quei titoli e bruciarli, e pazienza per chi rimane con un pugno di cenere in mano. Se domani incontro un tizio per strada e questi riesce a vendermi un oggetto fasullo, non è che questo costituisca un problema sociale, è un mio problema personale o tuttalpiù un problema di pubblica sicurezza.
Ritornando dopo questa ampia digressione al tema precedente, se pure non ha senso considerare il nostro livello di vita in rapporto a una situazione di indebitamento generale, come se appunto ci fosse stato un passato spendaccione che richiede un'espiazione futura, se vediamo le cose dal punto di vista ambientale, esse appaiono completamente differenti.
In rapporto allo stato dell'ambiente, ha infatti senso ammettere che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, intesi stavolta dal punto di vista della sostenibilità ambientale.
Ciò che io dico è che dobbiamo tornare agli oggetti. La domanda che dobbiamo porci è se ci siamo circondati di troppi oggetti, se abbiamo abusato delle risorse ambientali ritenendole a torto illimitate. A me pare di sì, che davvero il nostro livello di consumo è incompatibile con i limiti del pianeta in cui abitiamo, e da questo punto di vista una minore disponibilità di reddito sia un fatto perfino augurabile. E' l'avere prodotto troppi oggetti e talvolta di usarne troppi che è un problema, non il fatto che siamo indebitati, come se mangiamo tutte le mele prodotte da un albero ciò non pregiudica in alcun modo la produzione futura, così se quegli oggetti li abbiamo è perchè siamo stati in grado di produrli e non ha senso parlare di un debito tra passato e futuro, è solo un modo di imbrogliare le carte trasformando il problema del possesso di titoli fasulli da parte di taluni in un problema di carattere economico generale. 
Così, la conclusione che possiamo trarre è che nel quadro di una riduzione dei consumi almeno nelle nazioni più sviluppate, bisogna avere la forza di non diminuire l'occupazione, ma al contrario, tanto più poveri siamo, tanto più urgente è garantire la completa occupazione. 
Ciò implica la necessità di diminuire i redditi individuali, magari parallelamente all'orario di lavoro, significa smettere di considerare la competitività come la panacea dell'economia, ma su questo conviene rinviare a un prossimo post.

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