martedì 7 febbraio 2012

FRAGILITA' DELLE NOSTRE SOCIETA' DI FRONTE ALLE EMERGENZE

E' di grande attualità il dibattito sulle conseguenze del maltempo e delle manchevolezze dell'organizzazione statale nell'affrontare l'emergenza. 
Senza alcun dubbio le polemiche su specifche manchevolezze sono giustificate e financo necessarie, ma qui desideravo sviluppare una riflessione differente. 
Riflettevo sulla fragilità complessiva delle società contemporanee, come conseguenza della dipendenza delle singole famiglie da servizi centralizzati, ma anche, e questo è l'aspetto che mi sembra più interessante, da un atteggiamento psicologico individuale, che confida sempre su una soluzione dei problemi affidati ad altri, al proprio esterno. 
In un certo senso, in città, in una metropoli come Roma, è inevitabile che la diomensione stessa della comunità, una convivenza così ampia e fitta richieda una centralizzazione dell'organizzazione. Che, d'altra parte, le autorità municipali siano incapaci all'uopo non dovrebbe costituire novità, i problemi della mobilità ad esempio, tra le questioni di maggior rilievo, non sembrano aver trovato finora adeguata risoluzione da parte dei sindaci che si succedono alal guida dei grandi centri urbani. Io credo che un sano scetticismo nei confronti del proprio sindaco sia salutare e che ognuno dovrebbe da sè considerare le conseguenze di una nevicata di grandi proporzioni che era stata largamente prevista...
La cosa che però mi ha più colpito è ciò che ho visto in alcuni servizi col giornalista che si aggregava a squadre di soccorso. Facevano vedere le squadre di soccorso che raggiungevano alcune sperdute frazioni di comuni montani rimaste isolate e senza energia elettrica. 
Ora, mostravano una donna di 82 anni che viveva da sola e che lamentava di essere rimasta senza acqua (come conseguenza della mancanza di energia elettrica) e senza alimenti. Situazioni non così differenti si verificavano in normali famiglie con genitori abbastanza giovani, ma anch'essi in condizioni analoghe. 
Le domande che mi sorgono spontanee sono parecchie. 
La prima è che senso abbia far dipendere la disponibilità di acqua da quella di energia elettrica. 
La seconda è che senso abbia per una donna così anziana vivere da sola e in un luogo così isolato. 
La terza è cosa succede alle persone da rimanere così inermi, del tutto dipendenti da servizi esterni, quale rivoluzione culturale occulta li abbia portati ad abbandonare la cura della propria vita nelle mani di altri soggetti. 
Eppure, dovrebbe essere chiaro a tutti che dove un servizio è centralizzato, aumenta la possibilità che cessi di funzionare per motivi naturali, ma anche per opera di malintenzionati. 
Cosa mai quindi induce una famiglia con genitori diciamo quarantenni, quindi nelle migliori condizioni vitali, a non prendere provvedimenti per affrontare una situazione che si sapeva sarebbe stata di emergenza. Come può chi vive in un luogo isolato non curare di avere a disposizioone i servizi essenziali da sè? 
Non oso immaginare una guerra tradizionale che effetti avrebbe nell'Italia di oggi.

3 commenti:

  1. forse quei genitori aspettavano come si dice la pappa pronta, capisco di più la vecchietta a quell'età lì non ti va di cambiare casa fosse anche per non rimanere sola, ti senti più al sicuro nei luoghi in cui hai vissuto

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  2. Sì, aggiungo che il padre diceva che avevano legna solo per tre giorni. Mi chiedo se si può essere così sprovveduti.

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    1. Già, bisognerebbe proprio riflettere a fondo su questi strani rovesciamenti: la distorsione del comunitario e la distorsione dell'individuale si tengono e portano ad annichilire (o a paralizzare) entrambi.
      (al netto del solito grottesco chiacchiericcio italiota che butta tutto in caciara)

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