martedì 9 agosto 2011

IL NOCCIOLO DELLE SCELTE DEI GOVERNI RISPETTO ALLA CRISI FINANZIARIA

A cosa serve ascoltare i notiziari TV e radio? A cosa serve leggere i giornali? A cosa mai serve tentare di informarsi sul web? A cosa serve infine stare ad ascoltare le interviste e le dichiarazioni rilasciate dai politici?

Può certo servire ad occupare il proprio tempo, ma la mia domanda è se serva a qualcosa, se sia utile ai fini della comprensione di cosa stia accadendo sui mercati della finanza internazionale: non è questo che si dovrebbe chiedere al settore dell’informazione, non è ciò che si dovrebbe pretendere da chi, con funzioni differenziate, occupa i mass media, e ne fa anzi il proprio mezzo di sostentamento e di notorietà?

Sfido chiunque a dirmi se in giro per il mondo dell’informazione abbia trovato una spiegazione degna di questo nome di cosa stia succedendo, perché i mercati di tutto il mondo vanno in una stessa direzione, crollo dei corsi azionari, grande movimento dei rapporti tra le differenti valute, e generale aumento dei rendimenti dei titoli, cioè riduzione del loro valore.

Qui di seguito, io, che non sono certo un economista, vi dirò ciò che ho capito, e che mi pare ridurre le questioni all’osso, alla loro sostanza. Lo faccio perché credo che le questioni sul tappeto siano elementari, perfino banali, tanto che un profano come me si può avventurare a dare il proprio punto di vista. Se ne deve dedurre che se stranamente non si sa più di che si parli sui mass media, non è perché sia difficile andare dalla superficie degli eventi al nocciolo vero dei fatti, ma perché evidentemente una coltre di fumo deve interporsi tra la realtà e ciò che, come utenti dell’informazione, ci viene offerto.

Il nocciolo della questione sta semplicemente nel numero che rappresenta l’ammontare complessivo di titoli che gira sui mercati finanziari: si tratta di circa 610 trilioni di dollari, o se preferite di 610 mila milioni di dollari, o ancora potremmo dire circa 430 mila milioni di euro. Un numero così grosso è difficile da quantificare in assoluto, capiamo certo che la cifra è enorme, ma in fondo stiamo parlando dell’intero ammontare di titoli a livello mondiale, e non ci meraviglia che si tratti di una cifra davvero grande.

Per capire quanto grande sia questa cifra, dobbiamo fare un confronto che possa risultare significativo. L’uomo fondamentalmente da’ giudizi comparativi, siamo bravissimi a dire tra due secchi d’acqua quale sia più fredda e quale più calda, ma abbiamo davvero una ben modesta capacità di dire in assoluto quale sia la temperatura dell’acqua, e per questo usiamo i termometri.

Come termine di paragone quindi, useremo il PIL mondiale lordo, che è dell’ordine di un decimo di quella cifra, cioè circa 43 mila milioni di euro.

Questo paragone è particolarmente significativo perché può funzionare da indicatore del rapporto tra la cosiddetta economia reale, cioè quella che dalla produzione va al consumo attraverso gli scambi, e l’economia finanziaria.

Molto succintamente, nel tempo e soprattutto negli ultimi decenni, è cambiato radicalmente il ruolo svolto dalle banche. Fino agli anni settanta, le banche facevano semplicemente da intermediari finanziari. In sostanza, facevano incontrare il risparmio con le imprese, prendevano in prestito i soldi dei risparmiatori, e lo giravano alle imprese che avevano bisogno di denaro per investire.

Oggi a distanza di trentanni, questo ruolo di intermediazione è diventato marginale, le banche prendono ancora a prestito i soldi dei risparmiatori, ma lo utilizzano prevalentemente in proprio, come investitori su titoli altrui, ma anche, e questa è risultata la novità più rischiosa, come emettitori di propri titoli, a volte anche semplicemente rimescolando titoli preesistenti (i cosiddetti prodotti integrati). Paradossalmente, a fronte della severità richiesta ai bilanci statali, le banche hanno avuto mano libera ad emettere titoli senza limite alcuno, cioè le banche hanno generato da un certo ammontare di denaro, diciamo cinque, un ammontare di titoli per svariate volte maggiore, diciamo che da cinque hanno emesso titoli per cinquanta. In questo modo, hanno ottenuto nuovi prestiti da risparmiatori, innescando la spirale che ha portato alla bolla speculativa (in realtà, le banche hanno fatto anche di peggio, dovendosi poi trovare a chi cedere i prestiti ottenuti, tramite i tristemente famosi mutui a tasso inizialmente negativo).

Riassumendo, a causa di questo comportamento irresponsabile di banche ed altre istituzioni finanziare, e naturalmente anche a causa dei disavanzi dei bilanci nazionali, in misura assolutamente prevalente il bilancio USA, oggi ci ritroviamo con titoli a cui non corrisponde nulla di reale. Quando pertanto verranno a scadenza, potranno essere pagati solo emettendo altri titoli in una spirale apparentemente senza fine.

Qui sta il punto fondamentale, tecnicamente i titoli, chi più chi meno, sono spazzatura, cartaccia senza alcun valore reale. Descrivere questa situazione come l’esistenza di un ,maggior rischio di rimborso di uno specifico titolo, è in qualche misura fuorviante, il sistema finanziaro ha una sua intima unità, e il rischio non può essere confinato semplicmente ad un’unica tipologia di titoli. Per fare un esempio, se la Grecia smettesse di pagare i propri titoli in scadenza, banche di altri paesi, tipicamente francesi e tedesche, che detengono grandi quantità di questi titoli, si troverebbero in una crisi di liquidità, e dovrebbero tentare di salvarsi vendendo tutti gli altri titoli nel loro portafoglio. Per la legge dellea domanda e dell’offerta, questo aumento dell’offerta demipremerebbe i corsi di tali titoli, mettendo in difficoltà altri operatori finanziari, e così via, con un movimento di propagazione che non si vede come si potrebbe confinare, e che quindi finirebbe col coinvolgere l’intero mercato finanziario. Questo è ciò che vediamo già oggi, non vi sarebbe motivo perché un titolo azionario industriale dovrebbe soffrire conseguenze negative dalla crisi dei bilanci statali, o perché mai, mentre le materie prime attraggono capitali crescenti, ad esempio l’oro, proprio in questi giorni assistiamo a una diminuzione del prezzo del greggio clamorosa, di venti dollari al barile, in percentuale più del 20% di diminuzione (a proposito, come si spiega la mancata diminuzione del prezzo alle pompe?). Si spiega perché il prezzo del greggio è tipicamente un fatto speculativo, dovuto alle scelte di investimento nei future: se la liquidità diminuisce, anche sul future si punta meno denaro, tutto qui.

Riassumendo, il problema che sta mettendo in ginocchio l’intera economia mondiale, è costituito da questa immane massa di cartaccia che è stata emessa da vari soggetti, e che non si capisce come sarà pagata. C’è forse al mondo anche una sola persona che abbia idea di come risolvere questo problema? E’ inutile che i vari banchieri, soloni di economia, pomposi capi di governo e così via, ci parlino d’altro, noi vogliamo sapere un’unica cosa, cioè cosa fare di questi titoli. Diamo soldi alle banche per resistere al momento dei mancati pagamenti a scadenza dei titoli che esse hanno emesso? Impossibile, questi soldi non li abbiamo, possiamo far fronte alla prossima scadenza, ma dopo? A cosa serve allora pagare una specie di prima rata, quando già sappiamo che le rate successive non potranno essere pagate?

Questo problema non ha soluzione se non costringendo l’intero mondo a produrre dieci anni solo per rimborsare i titoli. In fondo, è questo che ci stanno chiedendo, di rinunciare a tutto per salvare il sistema bancario e i risparmiatori che ad esso hanno affidato i loro risparmi. Cosa in sé lodevole, ma ci sarebbe qualcuno in grado di spiegarmi perché dovrei considerare prioritario salvare il risparmio di una persona che comunque qualcosa da parte ha messo, facendolo pagare col lavoro di una persona nullatenente.

In definitiva, abbiamo un problema finanziario in sé irrisolvibile, e la cui crisi finale può essere solo postergata, ma certo non evitata. Questo rinvio del “redde rationem” può essere ottenuto solo prelevando risorse da chi dispone solo del proprio lavoro per mettere qualche pannicello caldo sulla schiena dei risparmiatori. Ciò d’altra parte implica il mantenimento dell’attuale sistema finanziario, con i medesimi attori, che continueranno ad operare, come è stato ampiamente verificato a seguito della crisi del 2008, con le medesime regole (non saprebbero cosa fare diversamente).

In Italia, i terzopolisti sono diventati i più sfrenati sostenitori delle privatizzazioni, svendiamo lo stato per ottenere qualche spicciolo per andare avanti ancora per un po’.

Il sistema finanziario ed i suoi irresponsabili attori sono i nemici veri dell’umanità, assecondarli significa essere loro complici. Questo va detto chiaramente ai governi di tutto il mondo: chi taglia lo stato sociale, e chi propone la privatizzazione di tutto, è il loro complice ed è il nostro più feroce nemico, si tratta dei veri nemici del popolo.

La parte più ricca dell’umanità ha una parte più o meno cospicua della sua ricchezza in titoli privi di un valore effettivo, i governi dovrebbero semplicemente prendere atto di ciò: per quanto possa apparire dolorosa la prospettiva di ignari e incolpevoli risparmiatori privati dei propri risparmi (ma la responsabilità oggettiva di avere fatto una scelta di investimento sbagliata c’è in ogni caso), ciò è comunque il male minore, rispetto al sacrificare la parte più povera dell’umanità per salvare quella più ricca.

Mai le scelta devono apparire nello loro elementare essenzialità: o si sceglie di salvare i ricchi, o si sceglie di salvare i poveri, delle acrobazie verbali dei politicanti non ne possiamo più, devono uscire allo scoperto e dirci se vogliono salvare i ricchi o i poveri.

2 commenti:

  1. Per quel che mi riguarda la risposta ai vari "A cosa serve...?" è: " Ad angosciarmi ogni giorno di più!". Riguardo invece all'ultimo dilemma "Salvare i ricchi o i poveri?" credo che bisogni assolutamente tutelare i poveri senza affossare i ricchi perchè purtroppo il destino dei poveri dipende anche da quello dei ricchi. Mi spiego meglio: occorre assolutamente far pagare di più a chi ha di più e tagliare i privilegi a tutti i livelli, a cominciare da quelli delle varie caste per passare a quelli di cui gode anche la media borghesia. Ad esempio non trovo giusto che gli ufficiali di complemento che in carriera possono arrivare al massimo al grado di colonnello, al momento di andare in pensione ottengano il grado di generale giusto per avere una pensione maggiorata. Così come non ritengo giusto che ottenga l'assegno di accompagnamento chi, oltre ad avere 2 dignitose pensioni in famiglia, è proprietario di svariati appartamenti ( tutti in affitto) con reddito altissimo. E questi sono solo 2 esempi di situazioni a me familiari.Per quel che riguarda le banche, quello che ho capito è che se le si abbandona al loro destino i primi a farne le spese sono le piccole e medie imprese che senza i finanziamenti delle banche sono costrette a ridimensionarsi se non addirittura a chiudere, con conseguente lincenziamento degli operai e degli impiegati. Si dovrebbe cercare quindi di salvare capre e cavoli e non sarebbe secondo me troppo difficile se solo si limitasse l'ingordigia dei più ricchi, eliminando i loro privilegi di casta. Ma Berlusconi fa parte della casta dei ricchi ed è da quelli e da chi gode di tanti privilegi che è sostenuto, come è possibile che attui una politica che li danneggi?

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  2. @Ornella
    Avrei qualche obiezione specifica a ciò che dici, ma sarebbe una questione che ci porterebbe lontano.
    Mi pare più importante la questione del salvataggio delle banche. Il punto non è se sarebbe meglio si salvassero, su questo penso che conveniamo tutti, ma piuttosto se ciò sia possibile. A mio parere, non è possibile, e quindi la questione rimane quella di come fare, di quale sarebbe la strategia. La tua conclusione mi pare sfrenatamente ottimista, ma forse è meglio essere ottimista.
    In ogni caso, salvare le banche per salvare le PMI mi parrebbe paradossale, sarebbe ben più facile una funzione surrogatrice dello stato per il credito industriale, incommensurabilmente più economico che salvare le banche.

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