martedì 29 marzo 2011

FUKUSHIMA E ISLAM: LE NOSTRE FRAGILI CERTEZZE

Non v’è dubbio che gli eventi che occupano le prime pagine dei giornali di tutto il mondo attirino le nostre attenzioni. A nessuno sfugge l’importanza del disastro nucleare di Fukushima da una parte, e i grandi cambiamenti politici che osserviamo in una gran parte del mondo islamico.

Ciò che invece temo, è che le lenti con cui leggiamo questi eventi non siano adeguate. Temo, in altre parole, una sorta di pigrizia mentale, di inerzia nella capacità di intendere come questi fatti mettano in crisi le nostre concezioni filosofiche, quella visione del mondo che precede le opinioni che manifestiamo anche a noi stessi.

In particolare, e qui torno su aspetti che chi mi segue già conosce, dovremmo infine chiederci se la scommessa illuminista, il concetto stesso di modernità, i nostri modelli di riferimento di istituzioni politiche siano adeguati ad affrontare la realtà che ci consegnano secoli di sviluppo tecnologico.

Partiamo dai recenti fatti del Giappone. Credo che siamo tutti concordi nell’apprezzare il senso di responsabilità di questo popolo, la capacità di affrontare con dignità eventi così catastrofici. Potremmo credo concludere che in nessun altro luogo al mondo esiste un substrato culturale adatto a gestire con adeguata efficienza e rigore processi tecnologici ad alto rischio. Ebbene, le notizie che ci giungono sono molto preoccupanti, sembra ormai inevitabile la diffusione ambientale non soltanto dei prodotti della fissione radioattiva, ma dello stesso combustibile nucleare.

Come è stato detto, il rischio nucleare ha una qualità differente dagli altri. Ciò che in particolare terrorizza, o dovrebbe terrorizzarci, è che gli effetti di un incidente nucleare possono protrarsi anche per decine di migliaia di anni, un periodo cioè ben più lungo della stessa storia dell’umanità, da quando i nostri progenitori ci hanno lasciato testimonianze della loro vita. Sembra una approssimazione accettabile dire che questi disastri hanno una durata illimitata, in quanto nessuno di noi può spingere il suo sguardo così lontano nel tempo. Chi provoca un disastro nucleare, non ha modo di risolverlo, le reazioni nucleari non richiedono un’attivazione esterna, hanno un loro decorso indipendente dalle condizioni esterne, e quindi non influenzabile. L’unica contromisura è la loro diluizione e il loro distanziamento, non v’è altro rimedio, è come un fuoco inesauribile, insensibile a qualunque idrante.

In Giappone le polemiche infuriano sulla gestione delle centrali da parte della Tepco, sia prima che dopo il terremoto. A me tuttavia pare che il bersaglio delle polemiche sia sbagliato, che sia miope limitare la sostanza dei problemi alle responsabilità tutte da accertare da parte di alcuni managers. Il problema a me pare molto più di fondo, se cioè sia possibile attribuire a qualcuno, chiunque egli sia, una responsabilità così grande, ed in particolare se a una ditta privata, il cui fine intrinseco è fare profitti, sia possibile od auspicabile affidare responsabilità immani come quella di condizionare il futuro stesso dell’umanità. Se davvero consideriamo come un disastro nucleare abbia conseguenze ben più terribili di una stessa guerra, allora comprendiamo come ormai gli stati nazionali abbiano un ruolo ben più modesto rispetto al potere economico e finanziario in mano a multinazionali di ogni tipo. Non avverrà allora che le guerre in futuro saranno appaltate a una ditta privata? Mi chiedo se non venga meno lo stesso concetto di stato nazionale e di sovranità nazionale.

Da un differente punto di vista, potremmo dire che la guerra, tipicamente considerata come il male assoluto, ridimensioni il suo significato negativo quando confrontata con un disastro nucleare, che è un evento assolutamente più terribile della guerra, come dovrebbe ormai essere chiaro a tutti. Qui, l’emozionalità non c’entra nulla ovviamente, c’è piuttosto la ragionevolezza rispetto a un meccanismo perverso ed in definitiva folle che pensa che tutto vada commisurato a un fattore così futile come il profitto. Ecco, denotare come futile il profitto, credo che possa costituire un elemento di una nuova visione del mondo.

Altri avvenimenti stanno avvenendo che mettono in crisi le nostre certezze, il nostro considerarci comunque il centro del mondo, l’occidente delle nazioni più sviluppate come il motore della storia. Già la crisi finanziaria internazionale c’aveva mostrato la fragilità delle nostre economie, ben più colpite e danneggiate dalla crisi rispetto ai paesi cosiddetti emergenti, quali Cina, India e Brasile, per fare gli esempi più significativi. Allo stesso modo, le rivolte nel mondo islamico ci mostrano un protagonismo di quei popoli che in realtà c’ha stupito, c’ha colti impreparati. Trovo in quest’ambito estremamente interessante il contrasto che si è manifestato in quella che con qualche difficoltà viene ancora considerata la sinistra, soprattutto quando riesce a dare luogo ad un dibattito (vi segnalo a questo proposito il sito “nazione indiana” con questo post e quest’altro, un po’ la continuazione del primo), in cui ho letto, in mezzo a tante sciocchezze, tentativi di approfondimento veramente validi. Un elemento che trovo interessante è appunto quella della eccentricità di questi moti popolari, rispetto all’occidente. In fondo, guardare con fiducia o con sospetto a questi avvenimenti, è funzione della disponibilità mentale ad accettare che il centro del mondo tenda a spostarsi fuori dai nostri confini. Se crediamo che ciò non possa avvenire, allora la nostra attenzione è centrata sulle mire di Francia e Gran Bretagna, ma se siamo disposti a considerare questa possibilità, allora queste stesse mire possono essere considerate come un tentativo, forse perfino disperato, di paesi in declino di mettere il proprio cappello su eventi che sfuggono al loro controllo.

C’è ancora un elemento che emerge alla nostra attenzione, anche se le resistenze qui diventano fortissime, e cioè se la nostra concezione della democrazia come bene assoluto non possa entrare in crisi. Le democrazie occidentali oggi sono quelle che hanno consentito che il potere effettivo si concentrasse in pochissime mani, mettendo in crisi perfino il concetto di sovranità nazionale. Esse hanno consentito che un folle criterio di profitto determinasse le scelte più importanti e vitali per l’intera umanità, come detto a proposito dei disastri nucleari. Hanno infine consentito che tante guerre scoppiassero in nome dell’esportazione della democrazia. Non dovrebbe ogni persona ragionevole interrogarsi sulla stessa validità del concetto di democrazia, almeno nel modo disinvolto in cui è stata utilizzata per perpetuare politiche così cieche e distruttive?

Rispondere a questi interrogativi, richiede discussioni infinite, ed io per il momento preferisco fermarmi qui, alla semplice enunciazione di domande che trovo di importanza fondamentale.

4 commenti:

  1. A me sembra che i potenti stiano rispondendo a queste nuove domande con risposte vecchie e modalità assurde.
    un saluto

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  2. C'è chi approfitta sfacciatamente del concetto di democrazia per giustificare le proprie malefatte:"Sono stato eletto democraticamente e adesso faccio quello che mi pare e piace!Il popolo è con me!" Se questa è democrazia....Ogni riferimento allo stato di democrazia nel nostro Paese è ostinatamente voluto, perchè a me la lingua batte sempre dove il dente duole! Ma hai ragione tu: davanti alla catastrofe nucleare di questi giorni che fra non molto, temo, coinvolgerà con i suoi effetti disastrosi tutto il pianeta, anche il parlare di democrazia mortificata diventa una discussione di importanza secondaria. :(

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  3. Vincenzo, ne hai messo di carne al fuoco, e mi hai fatto aprire gli occhi (parlo del nucleare) su questioni che non avevo mai preso in considerazione. Adesso vado a guardarmi i post su nazione indiana. Grazie e ciao.

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  4. Il leader leghista Bossi ha detto:-Chi non è
    lumbard fera di bal-Si può? almeno da un punto di
    vista "puramente estetico"?Dov'è la politica in Italia?Almeno formalmente?
    Troppe cose stanno accadendo e non mi piace,si vuole distrarre l'attenzione da altro?
    Per quanto riguarda tua risp.No non esiste alcun
    risentimento,non avrei citato Professore di Fossati,se hai tempo ascoltala per qualche verso ti somiglia-Io mi riferivo alla linea del tuo blog -solo politica -io mi limitavo a ricordare questo.Egill

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